E’ un piccolo centro della provincia di Potenza, da cui dista circa 38 Km.
II paese, situato a circa 810 metri sul livello del mare, oggi conta circa 800 abitanti.
Disposto nella suggestiva cornice delle Dolomiti Lucane, ha origini antiche.
La cittadina originaria è ubicata nel fondovalle a circa 473 metri d’altezza a sinistra del fiume Basento. Sorse in epoca Romana come accampamento militare.
Durante la guerra tra Angioini e Ghibellini, i campomaggioresi si schierarono a favore di questi ultimi. II paese fu sopraffatto dagli Angioini che lo distrussero e gli abitanti furono massacrati.
Nel 1673 fu riacquistato dai conti Rendina, originari di Benevento, grazie ai quali inizio a ripopolarsi. I nuovi feudatari affittando la vicina foresta di Cognato ed altri appezzamenti di terreno, diedero agli abitanti la possibilità di lavorare e di migliorare economicamente.
Teodoro Rendina, uno dei rappresentanti di questa nobile famiglia, durante gli studi al Collegio Tolomeo di Siena, che allora era in fama di essere uno dei migliori in Italia, incontrò un giovane e brillante architetto, Giovanni Patturelli, allievo di Francesco Collecini, formatosi alla scuola del noto Vanvitelli, costruttore della reggia di Caserta.
Quindi, immaginarono di costruire un paese di 1600 abitanti ”la falangeria” dove la terra era data ai contadini.
Realizzarono insieme l’insediamento urbano e Teodoro Rendina, antesignano delle teorie del socialisti utopisti, emanò un editto nei paesi circostanti: tutti coloro che si fossero trasferiti a Campomaggiore, avrebbero avuto una casa e due tomoli di terreno”, ricalcando il precedente atto notarile di fondazione del suoi avi, datato 30.12.1741, laddove veniva convenuto di concedere in demanio ai coloni una certa estensione di terreno per edificarvi case e piantarvi vigne, con l’obbligo a quelli di certi oneri e prestazioni in favore della camera baronale.
Per ogni casa si assegnava lo spazio del quadrato di venti palmi (circa 25 metri quadri) e ad ogni padre famiglia, se massaro, si dava 12 tomoli di terra, 6 se bracciante.
Chi piantava vigna l’aveva libera da qualsiasi prestazione durante 6 anni dal giorno del piantamento. Trascorso quelli pagava alla camera baronale 5 carlini a tomolo ad ogni settembre o tre barili di mosto a sua scelta.
Permesso ai coloni l’uso di tagliare le travi e le tavole necessarie alia costruzione dei tetti, con l’obbligo di piantare per ogni pianta di rovere o di cerro che si recideva, tre piante di alberi da frutta a scelta del Barone ed ogni colono in ogni anno doveva potare 30 alberi di cerro o di rovere.
Venne concepita un’ordinata pianta del paese disposto tutto a scacchiera, con casette tutte uguali per dimensioni e tecniche costruttive, con strade larghe, dirette, tagliatesi ad angoli retti e con una vasta piazza nel mezzo delimitata dall’austero Palazzo Baronale e dalla Chiesa neoclassica di S. Maria del Carmelo. Introdotta nell’agro la coltivazione dell’ulivo, procurati da ogni parte vitigni e mazze di frutta delle più stimate specie, la laboriosa gente del posto ebbe a mandare dalle sue valli e dalle sue pendici, grani, vini ed oli tra i migliori sui mercati della provincia.
Nell’arco di pochi decenni dal 1741 al 1885 la popolazione passa da circa 80 a 1525 unità.
Tuttavia, nel febbraio del .1885, un movimento franoso di grande portata, vide calare il silenzio a causa di una violenta frana.
II sogno di un uomo andava in frantumi e cosi quel “patto sociale” che anticipava le teorie del socialismo utopico di Fourier e di Owen.
La popolazione abbandonò il vecchio paese e si diresse in località “Difesuola”, dove tutt’ora sorge Campomaggiore Nuovo.
Non resta che pensare di avere in un solo territorio due citta immerse nel verde della Basilicata: lungo la Valle del Fiume Basento sono, quindi, le rovine della citta utopica di Campomaggiore Vecchio, ove la collocazione e l’organizzazione urbana è ancora leggibile nei ruderi.
Dominano il paese dall’alto il Casino della Contessa, la residenza estiva dei Conti, il Laboratorio del vino, una struttura ipogea e la Masseria Cutinelli Rendina che all’interno custodisce un antico frantoio.
Di notevole suggestione, poi, è la Sequoia conifera, importata dal Nord America e piantata dai conti dietro al Palazzo, che oggi, a secoli di distanza, rimane testimonianza di quello che fu l’orto botanico, villa dei Rendina.